Nei monti Sibillini ci sono luoghi segnati dalla leggenda delle fate: ci sono le Fonti delle fate, i Sentieri delle fate, la Strada delle fate, il Paese delle fate e la Grotta delle fate, di sicuro il più conosciuto.
E’ una grotta del Monte Sibilla che prende il nome dalla leggenda della Sibilla Appenninica, secondo la quale non era altro che il punto d’accesso al regno incantato della Regina Sibilla.
Le Sibille erano delle figure storiche realmente esistite ma presenti anche nella mitologia greca e romana. Erano delle vergini dalle virtù profetiche, spesso ispirate dal dio Apollo, i cui messaggi erano spesso ambigui e di difficile interpretazione. I nomi con cui vengono identificate cambiano a seconda delle zone geografiche di provenienza. La Sibilla Appenninica, detta anche Oracolo di Norcia, non compare tra le dieci Sibille menzionate dal letterato Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.) in quanto ha origini medievali.
La leggenda narra di una vergine profetessa che fu condannata da Dio a rimanere nelle viscere della montagna fino alla fine dei Tempi. Il peccato del quale si era macchiata era quello della superbia, essendosi ribellata all’Onnipotente nel momento in cui aveva appreso di non essere lei la prescelta come madre di Gesù Cristo ma un’altra vergine, Maria. Questo è il nucleo originario della storia che si arricchì con il tempo di altri particolari. Tra questi, la presenza di inestimabili ricchezze in oro e pietre preziose custodite nelle sale sotterranee del Regno della Sibilla, quella di Draghi dagli occhi fiammeggianti a guardia degli ingressi, peraltro già di difficile accesso, e di un corteggio di fanciulle, le Fate, che avevano il compito di attirare i cavalieri con la promessa di una vita lussuriosa.
I cavalieri che, nonostante tutto, fossero entrati nella Grotta e si fossero inoltrati nelle profondità della montagna, dovevano abbandonarla, qualora fossero riusciti a trovare la forza di lasciare quel luogo di delizie e di voluttà, in date rigidamente prefissate: il nono giorno di permanenza oppure il trentesimo oppure il trecentotrentesimo, pena la reclusione perpetua nella stessa cavità naturale.
Secondo la tradizione locale, la Sibilla Appenninica era invece una fata buona, veggente e incantatrice, detentrice della conoscenza, conoscitrice dell’astronomia e della medicina, che elargiva responsi profetici. La Sapientissima Sacerdotessa era circondata da Ancelle (le Fate della Sibilla) che vivevano con lei all’interno della Grotta.
Secondo Giuseppe Di Modugno sul suo “Storie, leggende e altro sui Monti Sibillini”, la leggenda legata alla Grotta della Sibilla ha avuto nei secoli ben cinque stratificazioni culturali: una prima fase appenninica, che si riallaccia ad una civiltà preromana, una seconda di tradizione romana collegata al culto della Dea Cibele, una terza fase attinente a un Cristianesimo primitivo che la voleva casta, una quarta fase relativa alla cultura medioevale dei riti satanici e degli incantesimi, una quinta e ultima legata al filone nordico del ciclo cavalleresco e che si rifà al Tannhäuser di wagneriana memoria!
Andrea da Barberino nella sua fantasia poetica creò il Guerrino detto il Meschino. Cavaliere mosso dal bisogno di conoscere i suoi genitori, tra mille peripezie, sale il monte, scende nella caverna, resiste alle tentazioni della maga Sibilla che per questo non gli rivela i natali; va a Roma per chiedere ed ottenere il perdono papale.
La leggenda della Sibilla appenninica fu narrata, nel 1420, da Antoine de La Salle, che visitò la grotta, notò sedili intagliati nella roccia intorno ad un vano quadrato, trascrisse racconti di persone che vi erano andate e racconta di un paradiso (Le Paradis de la reine Sybille) sotto la montagna, nel quale si erano persi molti cavalieri.
La testimonianza, tuttavia, di un oracolo presente nella grotta stessa, è assai antica e risale addirittura a Svetonio (69 a.C.): l’autore latino racconta, infatti, che il console Vitellio, dopo una battaglia, avrebbe raggiunto Roma passando per i Sibillini, dove avrebbe attuato una “veglia sacra”.
La scrittrice Joyce Lussu ha dato una spiegazione del fenomeno che può essere definita antropologica: la Sibilla Appenninica è identificata con una figura protettrice della sapienza contadina, una specie di nume tutelare, il cui ricordo risulta radicato nella cultura dei residenti. Le diverse civiltà succedutesi nella dominazione culturale dei luoghi hanno cercato di inglobare tale patrimonio di credenze oppure di denigrarne la figura, identificandola con l’indovina peccatrice.
Alcuni sostengono che ancora oggi, la Sacerdotessa e le sue ancelle vivano ancora in questi monti e che la grotta sia ancora il suo ingresso. Come prova di quest’affermazione la gente riporta la visione di tante luci notturne che sembrano risalire le montagne e le treccioline fatte alle criniere dei cavalli se lasciati liberi tra i monti.
DOWNLOAD – Antoine de La Sale – Il paradiso della regina Sibilla