Castelluccio in un dipinto di Matteo Tassi del 1889
Oggi è il corona virus, a metà ‘800 era il colera a sconvolgere la pace delle comunità e a costringere le autorità del tempo a scelte drastiche, con provvedimenti di livello generale e locale. Sino alla fine del Settecento il colera non esisteva e quando arrivò, proveniente dal subcontinente indiano, il suo impatto fu fortissimo perché risvegliò le antiche paure della peste e delle altre malattie che avevano decimato l’Europa nei secoli. Le autorità si accorsero che il colera stava arrivando nel 1817, quando questa malattia cominciò a uscire dai suoi confini originari e in tutto il mondo occidentale si tentò di arginare il pericolo emanando disposizioni di legge per prevenirne la diffusione. Nel 1835 si riscontrarono i primi casi in Italia. Da qui lo scoppio dell’epidemia, che durò fino al 1837. Questa epidemia non arrivò a Castelluccio, popolato allora da quasi cinquecento persone, isolate in un villaggio difficilmente raggiungibile e dal clima freddo e secco, ma non fu così con la seconda ondata del 1854-55. Il 25 agosto 1855 fu seppellito il primo morto di colera, come sempre si era fatto, sotto il pavimento della Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta. Dopo la morte, il giorno dopo, di un’altra persona scattò l’allarme e le autorità disposerò che le prossime sepolture avvenissero lontano dal paese. Il nuovo cimitero fu individuato in un rilievo verso Visso, vicino al Colle Tamburo. Era il “colle del pozzo sprofondato“, una delle doline che si trovano numerose nella zona di Pian Perduto vicina a Castelluccio, che da quel momento venne chiamato “Cimitero Nuovo”. Fu subito inaugurato il 31 agosto 1855 quando vi furono portati altri tre castellucciani morti di colera. L’epidemia durò circa un mese e mezzo, fino al 9 ottobre, e portò via con sé 17 castellucciani. Il cimitero molto tempo dopo fu sostituito dall’attuale e fu chiamato “Campusantu Vecchiu“. Oggi ne è visibile qualche labile traccia al limite del cippo confinario di epoca cinquecentesca che delimita Marche e Umbria.
Fonti: castellucciodinorciaonlus, castellucciometeo