Il Comune di Norcia ebbe origine probabilmente dall’organizzazione di operai, artigiani e commercianti e già dalla sua nascita si dotò di uno Statuto e di un complesso sistema amministrativo e politico che venne applicato tanto al centro urbano quanto al contado.

Quasi tutto il VI libro degli Statuti di Norcia, per la precisione 70 rubriche 
risalenti al 1346, è dedicato alla ripartizione dei beni comunali situati alle 
quote più alte delle montagne a oriente dell’altopiano di S. Scolastica.

Si trattava dei beni appartenenti alla collettività e come tali inalienabili e godibili dai nativi residenti nel comune, a condizione che
 questi ultimi fossero iscritti nel libro dei focolari e pagassero le imposte.

Ad essi venne concesso il diritto di utilizzare prati, selve e ‘cese’ (terreni
 ridotti a coltura dopo essere stati disboscati) e di goderne i frutti: fieno,
 legna, cereali, biade, legumi, ecc. Un’operazione delicata per la quale fu istituita una commissione formata da 16 uomini, due
 per ogni ‘guaita’ (rione) di Norcia.

La montagna fu divisa dapprima in tre grandi settori; ogni settore fu successivamente ripartito in porzioni via via più piccole fino ad arrivare alla 
‘parte di monte’ spettante al singolo nucleo familiare (detta perciò anche “parte foculare”). Gli statuti parlano sinteticamente di “divisione del monte” e questo spiega perché Castelluccio si chiamò, per lungo tempo, Castello del Monte, come numerosi altri luoghi fortificati dell’Appennino che avevano la funzione di vigilare sulle superfici pascolive. Per non confondersi l’uno con l’altro 
i vari Castel del Monte furono spesso distinti da un’apposizione. Il nostro si chiamò Castello di Monte Precino, non perché avesse a che fare con Preci ma semplicemente perché il Piano Grande di Castelluccio fu denominato anticamente ‘pricino’, nome d’incerto significato etimologico.

Alle otto guaite di Norcia andò la fetta più succulenta: tutta l’area del Piano Grande e del Piano Piccolo comprese le montagne che stanno in mezzo e cioè la Rotonda
 e il monte Guaidone, assieme alle pendici di monte Vettore (Piè di Vettore) fino alla Forca di Presta, e assieme alla maggior parte di
 selva Cavaliera fino a Carbonara e al monte Cappelletta.

Alle famiglie che s’insediarono sul colle di Castelluccio, a 1450 metri d’altezza, furono riservate fasce
 di territorio (“senaite”) che andavano dalle immediate adiacenze del Piano 
Grande e del Piano di Cànatra (Pian Perduto) fino ai Colli Alti e Bassi e al 
vallone di Vettore. Un solco rinnovato ogni anno divideva le senaite di
 Castelluccio dall’area comunale, ma rimaneva saldo il principio che tutto il 
territorio restava soggetto all’alto 
dominio di Norcia e che qualora fosse cessato per qualche ragione l’usufrutto di una ‘parte di monte’, questa ritornava al comune.

La mappatura del territorio s’incentrava su una linea madre che originava dalla cima più alta del Vettore umbro (Cima
 del Redentore, m. 2449) e scendeva perpendicolarmente fino al cosiddetto
 Sasso Urbano (localmente ‘lu Sassone’), un masso erratico situato ai piedi del Vettore. Tale masso appare artificialmente squadrato su un lato; sfiorando con l’occhio la 
sua faccia verticale si traguarda perfettamente la cima del monte Ventosola lungo una linea virtuale che si trasformava in un solco, concretamente tracciato sul terreno, fino a raggiungere un termine
 posto fra la punta di monte Castello e l’Inghiottitoio dei Mergani, all’estremità opposta di Pian Grande. E’ stupefacente constatare come la vasta superficie prativa del Pian 
Grande sia perfettamente divisa in due da questa linea.

Gli statuti descrivono minutamente il reticolo generato dall’intersezione di questo asse longitudinale con l’asse trasversale che partiva dalla fonte
 situata a metà del Pian Grande e proseguiva fino all’inizio della valle di Bonanno, tra la Rotonda e il monte Guaidone. L’incrocio di questi due  assi maestri, perfettamente ortogonali come ancora mostra la pista che ricalca l’asse trasversale, ricorda da vicino le tecniche di centuriazione
 romane (cardo e decumano).

Nelle rubriche del VI libro vengono ripetutamente citati punti di riferimento, traiettorie, numero di pertiche 
misurate, microtoponimi, ed altri numerosi particolari utili per una minuziosa 
ricostruzione dell’assetto catastale che questa notissima area del Parco 
Nazionale dei Sibillini assunse nel medioevo.

In conclusione si può affermare che la divisione dei monti di Norcia costituisce uno degli esempi più notevoli dell’attuazione dei principi che 
stanno alla base degli ‘usi civici’ e che essa aggiornava consuetudini precedenti, passate dall’antichità al medioevo senza soluzione di continuità. La divisione dei monti sottolinea inoltre il ruolo rivestito dalla principale
 risorsa economica del tempo, il pascolo e l’allevamento ovino su larga 
scala, e spiega la ragione dell’esistenza di un centro abitato come Castelluccio in un luogo così 
inospitale, dove si sono mantenuti usi, tradizioni, tipi di culture agricole e modi di sfruttamento del terreno.

 

 

 

Fonti:

Romano Cordella

Vetusta Nursia