“Quando un tempo verrà, per cui questo in cui viviamo sarà remoto di secoli, i monti riavranno le loro chiome, e i posteri lontani parleranno della distruzione dei boschi, operata nell’epoca nostra, come di una colpa più grave di quella che noi ora facciamo a chi sotterrò o distrusse i capolavori dell’arte antica”.
Così scrisse nel 1889 Gianbattista Miliani, industriale cartaio e futuro Ministro dell’Agricoltura, dopo una visita a Bolognola e alla Valle del Fargno, dove erano evidenti le conseguenze del disboscamento selvaggio, abusivo e senza regole, che per molti anni si era praticato sulle montagne. Il bosco era un impedimento alla diffusione della pastorizia, l’attività economica principale delle popolazioni dell’Appennino, e a partire dal XVI e XVII secolo ebbero inizio operazioni di disboscamento intensivo che sconvolsero pesantemente il paesaggio.
La progressiva distruzione dei boschi nei secoli interessò anche i Piani di Castelluccio. Nel 1600 il Berrettaccia (pastore-poeta di Vallinfante) scriveva: …..”Se quivi sgrassatore ovver bandito, fosse pure a le forche condannato, toccar potesse un albero co’ un dito, saria rimesso da colpa o peccato, ché un altro luogo sì raso e pulito neppure l’avrebbe Bèbbeco fondato.”…. Della grande foresta, erano rimasti in fondo a Pian Grande solo tre faggi secolari, distrutti dalle tempeste del terribile inverno del ’29.
A Bolognola, il 13 marzo del 1823, una slavina si abbatté sull’abitato di Villa da Piedi causando la morte di 3 persone. Ben più gravi furono le conseguenze di altre due tragiche valanghe che si staccarono dal Monte Sassotetto nelle notti tra il 20 ed il 21 febbraio del 1930 e tra il 2 e 3 febbraio del 1934 colpendo gli abitati di Villa da Piedi e Villa di Mezzo, causando ciascuna la morte di 19 persone e radendo al suolo la maggior parte degli edifici.
L’evento, specialmente il primo, suscitò enorme clamore ed ebbe rilevanza nazionale, tanto che l’allora diffusissima rivista “La Domenica del Corriere”, dedicò alla tragedia la pagina iniziale del numero del 9 marzo 1930.

Solo dopo il 1934 si decise di costruire sul monte dei muri di difesa in pietra ed effettuare dei rimboschimenti artificiali con l’obiettivo di salvaguardare i centri abitati, ma ormai, quella che era una tragedia annunciata, era compiuta.

Anche l’altro versante dei Sibillini pagò in quegli anni un pesante tributo di morte e distruzione. Il 4 febbraio 1934 a Casale era appena morta una bambina e tutti gli abitanti erano al suo capezzale per vegliarla; un ragazzo era stato appena mandato a suonare la campana della Chiesa di Santa Maria della Neve, edificata nel 1580. Pochi istanti dopo un enorme boato e una folata di vento anticiparono l’arrivo di una grande massa nevosa che, staccatasi dal Monte Torrone, percorse tutto il Fosso di Casale e investì il paese. Rimasero in piedi solo la chiesetta e la casa dove tutti erano accorsi per vegliare la piccola.
In questa tragedia morirono 8 persone, tutte le altre rimasero illese e furono molti che pensarono a un miracolo della Madonna della Neve! In quel tempo non c’era la Protezione Civile ma nessuno si tirò indietro per portare aiuto.
In seguito Casale venne abbandonato e i suoi ruderi vennero chiamati Casale Vecchio, mentre il nuovo paese, ricostruito a poca distanza ma in zona sicura, fu chiamato Casale Nuovo.

 

Le ripide pendici del Monte Sassotetto, sovrastanti l’abitato di Bolognola e le foto di Carlo Balelli che testimoniarono la distruzione del paese e la difficile opera dei soccorritori:

 

 

 

Il ripido Fosso di Casale e gli abitanti di Montegallo, immortalati da Nicola Rovedi, mentre si accingono a partire per Casale armati solo di pale e tanta volontà:

 

 

Fonte: “Monti Sibillini – Le più belle escursioni” Alberico Alesi/Maurizio Calibani S.E.R. editore