Su quasi tutte le mappe di Castelluccio troviamo due luoghi che portano lo stesso nome, citati nei racconti e nelle descrizioni di percorsi escursionistici come punti d’interesse e di riferimento topografico. Parliamo del Casotto Amati e del Silos Amati, entrambi ormai distrutti dal tempo e dagli eventi, che hanno sempre suscitato interesse sulla loro storia, sul loro servizio, sul loro nome tra la maggioranza dei frequentatori dei Piani, almeno tra coloro che a Castelluccio non hanno avuto i natali. Iniziamo dal casale che sulle carte topografiche porta il nome di “Casotto Amati”, ma che la gente del posto ha sempre chiamato “lu Casale de Rendina” o “l’Osteriaccia”. Si trova all’imbocco della valle che porta a Forca di Presta sotto l’estremo occidentale della faggeta di Cavaliera. Era un casale molto grande, composto da due manufatti. Quello principale era su due livelli più soffitta. Nella parte di sotto c’erano le stalle, la cantina e la caciara dove venivano messi a salare il formaggio e la ricotta prima di essere portati in altro luogo per la stagionatura.  Nel piano di sopra c’erano parecchie stanze tra cui l’alloggio del guardiano e della sua famiglia e una spaziosa stanza dove c’era l’osteria (da qui il nome di Osteriaccia) dove la sera tutti i pastori del contado si recavano a giocare a morra, bere un po’ di vino, acquistare pane, sigari, sigarette, zolfanelli  e aggiornarsi sui fatti e sulle novità. Nel manufatto laterale verso monte Vettoretto c’era un grande forno che veniva utilizzato per la cottura del pane necessario per tutti i pastori della zona e per i viandanti. Questo bel casale e molti ettari di montagna circostante erano del signor Rendina, originario di Arquata del Tronto. Rendina aveva acquistato questa parte di montagna nel1890 dal comune di Norcia e fece costruire il casale nel nuovo millennio, probabilmente ampliando un preesistente edificio che nei secoli precedenti fungeva da dogana tra lo Stato pontificio e il Regno di Napoli, lungo la strada che collegava Castelluccio alla provincia di Ascoli Piceno. Sotto la Faggeta di Cavaliera esistevano altri casali, molto più piccoli, di proprietà di persone che abitavano a Pescara del Tronto e che avevano degli appezzamenti di terreno. Racconta Giuseppe Iacorossi che nel 1936 il padre Benedetto aveva iniziato a prestare servizio con Rendina, insieme ad altri due castellucciani, come vaccaio. Avevano in custodia circa 400 vitelle che l’ente bonifica Maccarese di Roma  aveva portato a Castelluccio per una sperimentazione bovina. La rimessa delle vitelle era nei pressi del casale dove ebbe modo di conoscere Settimio da Pescara del Tronto, il guardiano della montagna di Rendina, così come lo furono il padre e il nonno. Settimio abitava nel casale di Rendina dalla primavera fino ad autunno inoltrato, finché non cadeva la neve. Era un provetto cacciatore di lepri, allora numerosissimi nella zona, e la loro carne non mancava mai nei piatti che sua moglie cucinava ai viandanti che si fermavano all’osteria. I castellucciani praticavano l’uso civico nella proprietà del signor Rendina ma solo con le bestie da lavoro, non con le pecore. Il signor Rendina aveva una masseria di pecore che in inverno portava in maremma in una tenuta di proprietà del principe Buoncompagni, tra Civitavecchia e Montalto di Castro. Negli anni ‘40 Rendina vendette la montagna e il casale a un  certo signor Di Pietro e  questo, a sua volta, al signor Amati che iniziò vari miglioramenti alla proprietà, facendo edificare anche un silos per i foraggi nei pressi del laghetto, in zona Dogana. Il silos veniva usato dai pastori di Norcia e delle frazioni vicine e fu da sempre identificato come “Silos Amati”. Con l’avvento di Amati il vecchio guardiano Settimio fu sostituito da un uomo di Castelluccio che, a differenza del vecchio guardiano, mantenne da subito una condotta completamente diversa cosicché iniziarono a fioccare multe e controversie di pascolo, molte finite in tribunale. Verso il 1965 iniziò la decadenza inarrestabile del casale che porterà prima all’abbandono poi al crollo finale riducendosi così come oggi lo conosciamo. Ci furono anche due tragici episodi che meritano di essere ricordati. Benedetto Iacorossi narra dei fatti del 25 aprile 1944 quando, presso l’Osteriaccia, ci fu un violento scontro a fuoco tra una formazione di partigiani della brigata “Melis” e truppe della RSI. Molti inglesi e sudafricani militavano nella formazione del capitano Melis in quanto fuggiti, dopo l’otto settembre 1943, dal campo di concentramento di Colfiorito vicino a Foligno. Nello scontro morirono tre partigiani: un Italiano di nome Paolo Schiavetti Arcangeli di 20 anni e due sudafricani ex prigionieri di guerra, i soldati Bill Sanderson e John Schutte. A causa di un abbondante nevicata i tre cadaveri vennero recuperati qualche settimana dopo lo scontro. Il sergente Schiavetti era vicino alla stalla da dove tenne a bada da solo i soldati della RSI, permettendo così agli altri di fuggire verso Forca di Presta e Pretare, i due soldati inglesi erano invece caduti sopra il casale, verso la faggeta di Cavaliera. Schiavetti Arcangeli fu insignito della medaglia d’oro al valor militare per l’atto di eroismo che permise di salvare i compagni nonostante le sevizie a cui andò incontro e che lo portarono alla morte. Presso il casale risulta esservi stato qualcosa  in sua memoria, ormai purtroppo non più visibile. Urbano Testa racconta invece di un tragico episodio che vide coinvolti due castellucciani, il suo nonno materno Micoli Evaristo ed un suo amico, Testa Benedetto. Entrambi tornavano a Castelluccio con i propri muli carichi di masserizie dalla vicina Arquata. Nonostante fosse una tarda primavera, furono sorpresi da una furibonda tormenta di neve e benché pratici dei luoghi e capacissimi nel condurre le bestie da soma, poco prima del valico di Forca di Presta si persero di vista. Da lì in poi ognuno fece una scelta diversa. Evaristo trovò riparo in un piccolo casaletto prima del valico, non prima di tagliare i sottopancia dei suoi muli liberandoli dalla soma. Benedetto invece continuò il cammino verso Castelluccio e, superato il valico, raggiunse il casale Amati che ben conosceva. Scaricò i suoi muli, li dissellò, li mise al riparo dalla tormenta e poi, ormai vinto dal freddo e dalla fatica, cadde sulla porta del casale stroncato da un infarto.
Il ritorno a Castelluccio dei muli di Evaristo privi del carico fece intuire subito ai paesani la grandezza della tragedia. Si mossero in soccorso e giunti al casale poterono soltanto constatare la morte del povero Benedetto nel mentre sopraggiungeva  l’amico Evaristo aiutato da un miglioramento meteo. L’abbandono e il terremoto del 2016 hanno definitivamente messo fine ai due manufatti ormai solo macerie disseminate a terra, purtroppo non le sole. Il tempo cancella i ricordi……….ma il nostro ricordo è più forte del tempo e ci aiuterà a costruire un presente migliore.

Grazie a Giuseppe Iacorossi, Daniele Testa, Urbano Testa

    

                

   

Scene di vita quotidiana negli anni ’50