Scrive il Pirri: “Fin da remota età spiccava a ridosso di un poggio del Monte Rotagna o Grotagna nel territorio di Visso, il castello di Macereto, appartenente ad una famiglia di feudatari che estendevano i loro possessi sopra un’estesa zona di luoghi circostanti. Poco dopo la metà del 1200, periodo critico del feudalesimo locale, a scusa del rapido affermarsi dei comuni urbani e rurali, i signori di Macereto vendettero questo castello”.
Anzi, questo castello figura in due distinti atti di vendita: quello con il quale un tal Tiboldo di messer Farolfo di Nocria cedette il 24 settembre 1255 al Comune di Visso la propria porzione di Macereto e quello dell’8 gennaio 1259 dove messer Magalotto di Pietro Magalotto vende al Comune di Camerino il Castello di Fiastra dove egli abitava, nonché quelli d’Appennino, Poggio e di Macereto (la proprietà diretta doveva forse appartenere esclusivamente ai Magalotti dalla cui stirpe forse discendeva la madre di Tiboldo, Emperia).
Da quel momento cominciarono i contrasti anche armati tra Visso e Camerino per il dominio preminente delle terre di Macereto. Nel 1277 i Vissani conquistarono e incendiarono il Castello di Appennino occupandone una gran parte delle terre. Nel 1313 i Camerinesi (Guelfi) marciarono contro Visso (Ghibellino) e ripresero il Castello di Appennino incendiando quello di Macereto caduto anch’esso nelle mani dei Vissani.
La ragione dei contrasti fra Visso e Camerino vanno ricercate nella grande importanza economica, per i tempi, e strategica di Macereto. Con la pastorizia in continuo incremento e la sempre maggiore necessità di cereali per l’approvvigionamento delle popolazioni che permanevano in loco, un vasto altipiano come quello di Macereto con pascoli e terre seminative abbondanti rappresentava un elemento prezioso per l’economia dei tempi. Inoltre, chi aveva il controllo di Macereto, controllava la grande strada Consolare e Visso non poteva dirsi sicuro se non aveva la possibilità di spingere le sue difese avanzate ai limiti dell’altopiano di Macereto, allo scopo di evitare il facile accesso avversario nella Valle Ussitana.
Frattanto sin dal 1359 era sorta la chiesetta che ospitava l’immagine di Maria SS.ma di Macereto. Vuole la tradizione che il 12 agosto 1359, nel trasportare una statua lignea della Madonna con Bambino da Loreto al Regno di Napoli, i muli facenti parte della carovana si fermarono in ginocchio sul sito attualmente occupato dal santuario e da lì non vollero più ripartire, nonostante i calci e le frustate. I popolani accorsi in aiuto videro nell’accaduto un segno divino e pretesero che la statua rimanesse lì e nel giro di pochi anni venne costruita sul luogo una primitiva chiesetta dedicata alla Madonna. La tradizione dice, e gli atti degli archivi di Ussita e Visso lo confermano, che in breve la chiesetta divenne meta di pellegrinaggi e non mancavano le donazioni dei fedeli in terre e danari e oggetti di valore. Ciò acuì il dissidio tra Visso e Camerino perché ognuno contestava all’altro il territorio dove sorgeva la chiesetta. E le questioni si protrassero nei secoli sino a che nel 1521 il Duca di Varano di Camerino, per incarico del Pontefice, accettò il lodo del Vescovo di Chiusi che assegnava il Santuario di Macereto a Visso e provvedeva alla delimitazione dei rispettivi possessi e giurisdizioni.
Dopo la sentenza favorevole a Visso, si realizzò il progetto per la costruzione del nuovo Tempio a somiglianza di quello di Loreto e dice il Pirri che “ormai di doni, di legati, di elargizioni, di cessioni di terreni non si contava più il numero”.
Nel 1528 cominciarono i lavori per la costruzione del santuario con l’architetto Giovan Battista da Lugano, il quale riprese un precedente progetto del Bramante. Dopo la morte del Lugano, avvenuta probabilmente durante i lavori di edificazione, questi proseguirono sotto la direzione di Filippo Salvi da Bissone per terminare nel 1556. La costruzione del campanile fu arrestata dal suo crollo a causa del cedimento del terreno, per cui si provvide, secondo il Pirri, all’esecuzione “di quella costruzione di appoggio a poligono irregolare che fascia esternamente tutta la crociera e si compenetra col tronco superstite del campanile”, che non venne più costruito ed il cui tronco venne raccordato con il cornicione girante intorno al tempio. Sopra venne innalzata una veliera dove fu posta “una piccola campana nuova di 300 libre, comprata a Recanati”. La precaria stabilità indusse il Salvi a rinunciare ad innalzare la cupola prevista dal progetto del Lugano. Interpellato un certo Maestro Silvestro de L’Aquila, egli, dopo attento studio, suggerì “di coprire con tegole la cupola”. Paolo III, qualche anno dopo, insignì il tempio del titolo di “Basilica”.
Il santuario fa parte di un più ampio complesso architettonico comprendente la chiesa, la Casa dei Pellegrini, la Casa del Corpo di Guardia e il Palazzo delle Guaite. La basilica è a pianta ottagonale con tre ingressi e al suo centro si trova un tempietto in cui è incisa in latino la storia del miracolo di Macereto. La conca absidale attorno all’altare maggiore è decorata con affreschi di Simone De Magistris. La statua lignea della Madonna del ‘400 è depositata nel Museo-Pinacoteca di Visso.
Presso l’uscita si leggono due scritte in latino, poste dal popolo vissano per gratitudine verso la Madonna. Quella di destra per la preservazione dalla strage dei terremoti degli anni 1719 e 1730, ed il restauro del tempio dovuto alla pia elargizione di Clemente XII nell’anno 1741, quella di sinistra per la preservazione dalla peste del 1657 e dalla strage del terremoto del 14 gennaio 1703. Sotto è la tomba di Giovan Battista Lugano, come indicato dalla lapide, dove si legge:
LAPICIDA ET ARCHITETUS ELEGANTISSIMI^ M. BAPTISTA LUCANUS CUIUS CURIA HER. FABRICA SURGEBAT FATO FUNTUS HIC CUBAT MDXXXVIII
Correggendo gli errori commessi dall’incisore, essa deve leggersi: “Lapicida et architectus elegantissimus magister Baptista Lucanus cuius cura haec fabrica surgebat fato functus hic cubat – MDXXXVIII”.
Uscendo dal portale nord del piazzale, raggiungendo, dopo il bosco di pini, il poggio che si protende quasi a picco sulla confluenza dei due fossi in faccia a Cupi, si possono vedere, tra fitta vegetazione arborea, i massicci ruderi dell’antico castello che i feudatari Tiboldo di Nocria e Magalotto di Fiastra, comproprietari del luogo, vendettero al Comune di Visso rispettivamente nel 1255 e 1259 e che, come già narrato, venne distrutto dai Camerti nel 1313.
Fonti:
“L’ALTO NERA” di Ado Venanzangeli
Dalle ricerche e pubblicazioni di Felice Venanzoni
Foto copertina Luca Galluzzi