Quando percorriamo un sentiero ne ammiriamo spesso la bellezza, ma ci domandiamo mai se ha una storia, un “vissuto”, una giustificazione antropologica, economica, e più in generale culturale?

In passato camminare era una necessità; basti pensare nelle epoche preistoriche ai grandi spostamenti di cacciatori al seguito delle migrazioni degli animali oppure ai fenomeni di pellegrinaggio ai tempi del Medioevo. La storia delle vie naturali inizia con le percorrenze di crinale, le più sicure perché lontane dai fondovalle paludosi, dai fiumi, dalle foreste.

Le tipologie stradali erano ridotte a due o tre e le mulattiere avevano, tra queste, una posizione di primato. Avevano una funzione prevalentemente commerciale ed erano utilizzate come direttrici di approvvigionamento delle materie prime verso i luoghi di lavorazione e consumo.

Tra queste prioritario era il sale, una materia prima di grande valore nel passato perché indispensabile per la conservazione dei cibi.

Nel Medioevo e fino al XV secolo esistevano moltissime vie del sale, il cui percorso effettivo dipendeva non solo dallo stato delle strade, dalla natura delle merci e dei mezzi di trasporto, ma anche dalla maggiore o minore convenienza dei dazi doganali fra i diversi stati in cui era suddiviso il territorio. La più nota di queste era l’antica via Salaria, che da Roma conduceva ad Ascoli Piceno e all’Adriatico, anche se probabilmente era una via commerciale picena che collegava Ascoli con la sabinia e con l’etruria, in seguito romanizzata e classificata prima via consolare.

I grandi movimenti di uomini avvenivano anche per le vie di pellegrinaggio, che erano al tempo stesso vie d’intensi scambi e commerci.

La Via Lauretana, un’antica via di pellegrinaggio mariano, fin dal Medioevo ha collegato Roma al Santuario della Santa Casa di Loreto. Solo in epoca tardo cinquecentesca, allorché venne istituzionalizzata la strada carrozzabile definita «Via nova», il collegamento tra l’Adriatico e il Tirreno lasciò l’antico tracciato.

La Via della Spina, una strada dalle origini antichissime che una tradizione ricollega al passaggio dell’apostolo Pietro, partito da Roma per recarsi presso i Piceni, collegava, attraverso il valico di Colfiorito, Spoleto con il mare adriatico. Probabilmente ci passò anche la Via del Ferro, strada percorsa dai commercianti di questo minerale estratto all’Isola d’Elba e venduto in Grecia.

Le stesse vie venivano percorse anche dagli eserciti nei loro spostamenti. Durante la seconda guerra punica (218 a.C. – 202 a.C.) Annibale attraversò prima le Alpi e poi gli Appennini. La leggenda vuole che il generale abbia scelto proprio il valico tra Pizzo di Sevo e Cima Lepri, nei Monti della Laga, per portarsi sul litorale adriatico, dopo la battaglia sul Trasimeno. Da qui i toponimi: Tracciolino e Guado di Annibale.

Nelle zone montane l’economia prevalentemente agricolo-pastorale, utilizzava per gli spostamenti l’antichissima rete sentieristica.

La transumanza delle greggi dai pascoli montani a quelli di pianura, avveniva lungo strade chiamate tratturi, percorsi erbosi creati dal passaggio delle carovane di animali, a volte larghi più di cento metri. Si trattava di un sistema complesso in cui, da arterie più centrali, si ramificavano miriadi di tratturelli, disseminati di rifugi e ricoveri per il bestiame.

Sugli altipiani di Castelluccio di Norcia, nel XVI secolo, furono istituite tre strade doganali per la transumanza il cui uso era subordinato al pagamento di un pedaggio. Le greggi potevano uscire dal percorso e pascolare ai margini del tracciato occupando una fascia di terreno ampia al massimo 20 canne, pari a circa 40 metri. La “Via Imperiale” era una delle tre strade doganali, così importante da essere presa come riferimento per il confine umbro-marchigiano: a monte l’Umbria, a valle le Marche.

Sui Monti della Laga, la “Via Ranna“, il sentiero che taglia in quota il versante occidentale di Cima Lepri, era un ardito tratturo che collegava i vari stazzi disseminati lungo queste ripide valli, precisamente tra Cima Lepri e Pizzo di Moscio.

Transumanti erano anche i mietitori che lungo il “Sentiero dei Mietitori”, dal versante orientale dei Sibillini, si recavano verso Castelluccio e Norcia a “fare la piazza”, offrire cioè la loro opera al mattino presto a chi era in cerca di manovalanza per i lavori di mietitura che in quell’area si svolge circa un mese più tardi.

Per finire non si può non fare un riferimento ai miti e alle leggende dei Monti Sibillini. Queste montagne sono state meta e crocevia nel tardo Medioevo e nel Rinascimento di maghi, cavalieri erranti e uomini di cultura di cui restano tante storie e racconti che ritroviamo nei toponimi della sentieristica: la Strada delle Fate, il Sentiero del Meschino, Passo Cattivo, Forca di Giuda, il Malpasso.

La montagna è il severo guardiano della nostra storia, fedele custode di un patrimonio culturale d’incommensurabile valore, e le antiche strade e i sentieri sono gli esempi dell’integrazione dell’uomo nell’ambiente che abbiamo il dovere di mantenere…… non solo nel ricordo.